L’aurora di una “coscienza supplementare” nel cammino di umanizzazione dell’uomo.
Presentazione dell’11 marzo 2016 presso la libreria Koob, Roma,
“LA PACE NON E’ UN ARGOMENTO”,
Gesti contemplativi per abbracciare la storia,
di Benedetta Silj.
“A che vale tanta fatica dell’uomo sotto il sole” se non siamo in grado di riconoscere l’istante glorioso che si manifesta nell’incontro con l’altro?”
(p.62-63)
Vi propongo alcune note di orientamento, un piccolo viaggio nel testo dell’autrice e nel suo pensiero a più livelli, tentando di conservarne la profondità e la poesia; seguiamo il filo narrativo nel movimento della sua scrittura che è anche meditazione, e attraversiamo insieme all’autrice quattro “porte di accesso”, quattro dimensioni tematiche di ricerca :
1- La prima porta è Phisis, la Natura e il suo popolo, il popolo dei senza parola, vi troviamo il corpo in “vibrante attesa”-come “gemito umano che canta il suo essere creatura” – il corpo dei bambini,il corpo della nostra Infanzia; e incontriamo il popolo degli animali, la materialità e fisicità dell’origine con i suoi aspetti vegetativi, la Natura con la sua sacra riservatezza e il suo silenzio –
2- La seconda porta è il Logos, i suoi albori e il suo nido tra cielo e terra, la parola discorsiva, la scrittura e la sua nascita.
3- La terza porta è Nomos, la Legge della polis, tra obbedienza e disobbedienza, alla ricerca di un agire etico. Negli angoli dimenticati della storia, riflessioni sul valore sconfitto e mal interpretato che le donne hanno ricevuto in eredità da azioni e gesti di un femminile disubbidiente, archetipico, che ha osato seguire un’altra etica, quella compassionevole e di individuazione.
4- A conclusione, la quarta porta, Amore, Eros. Dal punto di vista di Antigone e di tante altre, donne e rappresentazioni della coscienza femminile “terrestre”, altrettanti archetipi, da Etty Hillesum a Emily Dickinson, a Maleficent della fiaba, o a Marcela di Cervants, fino alla saggezza “celeste” della Sophia e di Maria, figure della saggezza dell’amore compassionevole.

Incontriamo queste quattro porte come aperture che operano a più livelli esperienziali e conoscitivi, orientando il percorso della lettura, mai in un movimento monodirezionale, bensì in un andare e venire che reclama connessioni e chiede di essere integrato nella coscienza.
Consideriamo subito che questi differenti transiti sono allo stesso tempo varchi poetici, della parola, del linguaggio e del pensiero, un modo particolare di scaturire in direzione della consapevolezza, e che sono varchi aperti non senza fatica dalla scrittura e dal pensiero dell’autrice, dato che nell’andare e venire, a volte, si rischia di perdersi,- dice lei stessa- occorre saper entrare e uscire, realizzare il passaggio, portarlo a compimento. Sono dunque anche movimenti psichici che evocano atti di passaggio, evoluzioni della coscienza: azioni e non agiti, e dunque riflessioni, elaborazioni a più livelli, donate dall’autrice al lettore, dove Eros e Logos si coniugano con desiderio e intenzione.
Si tratta di ripensare con ampio respiro le modalità di relazione con il mondo, “gli agiti” più o meno alienati, avventati e compulsivi ovvero meccanicistici della quotidianità, incaricarsi del loro impatto sulla Natura, sulla Parola e sul Linguaggio, su Psiche, meditando la Storia, la Città e le sue leggi, considerando cosa sia essenzialmente l’Amore, la cura della vita e dell’altro da parte di un essere umano verso altri esseri umani. Assumere il passato, interrogarsi sul dolore.
Passando di soglia in soglia sottraendoci all’egemonia di un’intelligenza facile, svincolandoci dai condizionamenti e dai luoghi comuni, dalla prepotente astrattezza scorporata violentemente dal fondo dell’umano, incontriamo infine una sorta di tempo ritrovato.
Possiamo tornare a sognare, nel senso dell’antica Grecia, ovvero “ incubare” il sogno in prossimità e alla presenza sacra del dio, porre la nostra ispirazione al servizio di uno sviluppo simbolico umano ulteriore, di una umanizzazione aggiuntiva, attraversare la maturazione di una coscienza supplementare informata alla pace.
“ Dove comincia l’umano, e a partire da questo inizio, cosa interferisce con il suo sogno di pace ? si chiede l’autrice.
Avviciniamoci con le parole di Benedetta Silj là dove si respira un particolare silenzio, certamente non ignorando gli incidenti in cui facilmente si incorre in questa area “sacra” di bellezza ma avendo sviluppato “l’intelligenza della tragedia”.
Ecco che veniamo riconsegnati alla Natura, alla “struttura che connette “ a “ una grammatica profonda della vita “ …
Quando ci immergiamo nelle percezioni corporee, nel gesto, nell’azione e nell’ispirazione, nelle sensazioni della sapienza organica originaria della Natura, troviamo anche soluzioni imprevedibili, incontriamo incredibili miracoli.
È il percepito di una conoscenza organica silenziosa, non verbale, in cui discendiamo, dunque molto prima che nella parola e nel logos, in ogni modo in una relazione con una realtà creatrice, formatrice, si tratta di una conoscenza originaria, che non ci appartiene egoisticamente, che vive in uno spazio di “incubazione” in cui è sospesa l’invasione totalizzante dell’intelletto.
Il logos, il pensiero umano se intenderà essere realmente generativo e creativo non potrà non incontrare un limite, un giusto confine nella Natura infinita e compassionevole, né potrà ignorare il gemito della creatura umana che reclama gesti e azioni prima di tutto incarnati amorosamente nel silenzio del corpo e della materialità naturale del vivere. L’essere umano avrà bisogno di un genere di relazione e di consapevolezza rinnovate, fondate su cure appropriate, affettuose e corporee, prima di tutto da parte di un materno non svalutato e disconosciuto, e di un paterno testimoniante, capace di tollerare la violenza della tragedia.
Restituito alla “struttura che connette” in se stessa generatrice di un modo di conoscere, l’essere umano non più disgiunto dal suo fondo creaturale viene naturalmente immesso nel processo del farsi e del disfarsi instancabile di una coscienza altra, una coscienza aurorale.
Analizzando e meditando con l’autrice nodi indiscussi e non pensati, giungiamo ad interrogazioni basilari sulla violenza distruttiva del logos eretta a sistema dagli agiti del “bipede” umano contro creature indifese soggiogate.
Una metodica implicita viene così consegnata dall’autrice al lettore. Sono i passi necessari di un cammino evolutivo della coscienza del pensiero e del suo eros, l’insegnamento di una pratica che si fa disciplina amorosa.
Certo sono passi singolari, unici, individuali, anche disobbedienti, sempre, quando e quanto è necessario.
E infatti non ci sono risparmiati interrogativi, non veniamo sottratti al dialogo e al confronto. Sono gesti e posture esistenziali che concedono ascolto profondo al dolore della sofferenza umana, abbracciano la dismisura della violenza e dell’ingiustizia del mondo contemporaneo. Sono connessioni alla dimensione universale dei miti, dialoghi con filosofi, psicologi e poeti, confronti con differenti pensatori, un ponte tra passato e contemporaneità: tutti sono chiamati e immessi nel sogno della pace, evocando un tempo futuro sognato.
Tutti, ma non chiunque. Soltanto incontri d’anima.
Perché soltanto dialogando con altri, compagni di viaggio e di ricerca simbolici e in carne ed ossa, del passato ovvero nel presente, vivi e morti, coltivando e nutrendo con cura i semi originari, soltanto così è possibile tessere il sogno della pace.
Soltanto quando ritornando si viene accolti nella comunità umana può avvenire la ricostruzione del sentimento della speranza.
Altrimenti “un sogno così consuma, e si consuma se non se ne ha cura”.
Scrive l’autrice: “la distorsione delle premesse epistemologiche ed etiche – con cui tendiamo ad amministrare il rapporto con la natura, con la vita organica, con la materia, con la fisiologia e con la sensorialità – ci consegna a quella che Gregory Beatson definisce una “coscienza senza aiuto”.
Una coscienza il cui processo creativo è invertito, perché quando l’intelletto si impone in modo astratto la coscienza non diviene ma si fa frutto immaturo e aspro dei tanti strappi dalla Natura, dalla Terra. Le connessioni vitali soccorrevoli che originariamente collegano ciascuno alle radici dell’umano, così lacerate e dissociate, vengono arbitrariamente scisse e danneggiate, frammentate, perdono i nessi indispensabili con l’esperienza e la pratica, che è poi pratica dell’attenzione, quasi meditazione e cura. La coscienza priva di aiuto diventa una coscienza deprivata e distorta che può virare verso l’odio e la violenza. (*)
E’ un discorso metafilosofico e metapsicologico quello di Benedetta Silj, si colloca dalla parte di chi reclama la riammissione del corpo e dei sensi nella relazione di cura, aspira alla sua integrazione. Esattamente sullo stesso versante dell’analisi junghiana, ma soprattutto nella scia dell’eredità spirituale e culturale diretta dello stesso Jung che per anni, aveva segretamente praticato l’integrazione corpo-immagine-azione, attraverso la pratica dell’immaginazione attiva. Lo testimonia la recente pubblicazione del Libro Rosso.
Il lavoro di Benedetta Silj può essere considerato una mitobiografia e nel senso più ampio, come un lavoro di amplificazione e rielaborazione di immaginazione attiva.(**) Non lo si può comprendere in profondità se non lo si colloca sullo sfondo di una ricca e duratura elaborazione analitica, accompagnata da una scrittura inizialmente autobiografica, e poi mito-biografica. E’ come un albero le cui radici affondano in un terreno antico, con la chioma protesa verso il cielo della saggezza e della compassione umana. E avendo sostato nell’Aurora. Si tratta “di una scelta della sensibilità… (di) mantenere il ricordo del fondo oscuro e terrestre di ogni risveglio…
Dove (l’Aurora) E’ una guida – come dice Maria Zambrano-… se per guida intendiamo l’apparizione di qualcosa, un evento, una presenza che liberi il soggetto da sé, dalla situazione in cui è rigidamente intrappolato in una ignoranza divenuta immobilità: e l’immobilità nell’essere umano significa intrascendenza. Conoscersi è trascendersi. Fluire nell’interiorità dell’essere” (p.108-109).
Pertanto immobilità verso mobilità, inanimato verso animato e animazione, immutabilità verso movimento, un movimento in cui il conoscersi attende nel silenzio, sostando come il seme che si disfa nell’oscurità e risorge inizialmente nella penombra, e soltanto così può risplendere rinnovato negli albori dell’origine e trascendersi.
Un movimento che va dal passato al presente e dai morti verso i vivi: un movimento che anche è ascolto, che vuol dire ascoltare.
Interpretando “il Lamento dei morti”, commento di J.Hillman e Shamadasani al libro Rosso di Jung, scrive Bnedetta Silj che la vera urgenza epocale non è quella di rianimare i morti bensì ascoltare i morti della storia umana, “la massa di morti con cui dobbiamo venire a patti”, come ci ha trasmesso Jung. Scrive l’autrice: “Penso, dunque, la scrittura come a quel gesto sottile che dispone una delle possibili tessiture tra visibile e invisibile, tra vita e morte, tra il logos umano e ciò che lo eccede, tra la mano umana che scrive e la sua anima più profonda. Ed è come se, della calligrafia corporea, potessimo dire che è, appunto l’”aurora”, la culla, il nido originario da cui potranno levarsi, soffici e donate, la letteratura, la poesia, la scrittura filosofica e sapienziale, l’arte. E che questo nido, proprio perché non nega rifugio e ascolto ai morti, al lamento dei morti, fa nascere una “elaborazione lirica”… che sia di orientamento per i vivi” (p.158-159).
Il tempo di Antigone
“La maturità non è legata al tempo” Etty Hillesum
A conclusione del terzo capitolo su “ Nomos: tentativi di riscattare la storia ( p.182 ) incontriamo uno spazio bianco, dove cambiando il suo stile narrativo l’autrice scrive:
“Antigone si avvicina”,
Il lettore viene così immesso in modo inaspettato in una dimensione tragica, lì dove la narrazione diventa un teatro psichico. Da questo momento la fanciulla Antigone ci accompagnerà attraverso i percorsi esplorativi di “ Eros, per un sognare più grande”, dove potremo approfondire le dimensioni della coscienza e dell’amore femminile svalutati e disconosciuti dalla legge degli uomini, e dimenticati da Dio.(1)
Dunque Antigone si avvicina e d’improvviso il lettore di questo libro si rende conto d’essere stato anche lui condotto dentro quel tempo ulteriore della tragedia. Se Antigone è trasformata in presenza vivente e ancora testimoniante, nel teatro psichico creato dalla lettura del testo di Benedetta Silj, Antigone “agisce” come “coscienza supplementare” di questo testo.
Ora che Antigone esce dalla penombra dove dimorava allo stato nascente, come l’Aurora, ci rendiamo conto che già ci accompagnava sullo sfondo della scrittura di Benedetta Silj, anche se si palesa soltanto a questo punto della narrazione.
Perché la tragedia e il destino di Antigone rappresentano uno degli apici della storia della violenze e del sacrificio secolare del femminile.
“Si rivela, così, la vera e più profonda condizione di Antigone essere lei la giovinetta sacrificata agli “inferi” sui quali si erge la città” e non soltanto per gli antichi, perché queste dimensioni appartengono all’inconscio collettivo. (2)
Per tale ragione concedere ad Antigone un tempo ulteriore, quel tempo dilatato attraverso il quale portare a compimento il senso nascosto iscritto nella sua vita di fanciulla integra e inconsapevole, le consente di sottrarsi ad un destino di creatura sacrificata, congedarsi da coloro che sono parti in causa in questa tragedia e trasformarsi.
Tutte le donne che appartengono al tipo Antigone sembrano essere segnate da questo speciale rapporto con il tempo. Riescono così a compiere un passaggio nella trascendenza ché assume valore e significato transgenerazionale, realizzando, come scrive Benedetta Silj lo scioglimento di un terribile nodo che attendeva dal futuro e dai posteri la nascita di una “coscienza supplementare”.
L’atto di passaggio realizzato dal gesto di Antigone era implicito nella scelta di non collaborare con la legge ingiusta e tirannica della polis.
Il gesto di disobbedienza di Antigone e in realtà un gesto di compassione e non una scelta anarchica del desiderio di morte (p. 191) scrive ancora Benedetta Silj, è “l’unità di amore e conoscenza”… è “pietà e saper trattare con l’altro”.
“La disobbedienza di Antigone viene a rompere la catena di delitti maschili e delle complicità femminili, portando alla luce il sottosuolo infernale della famiglia e della città “Antigone è una figura che travalica i confini della legge e gli ordinamenti dei vecchi idee, e agisce “all’ombra di un Dio sconosciuto”, come tutti i precursori, coloro che vanno oltre”. (p.192).
In conclusione, il gesto di Antigone è legato al tempo futuro e rappresenta un gesto precursore che si inscrive in una giustizia ed un ordine della Polis che ancora è da venire.
Antigone è un archetipo di tutte quelle donne che hanno operato disubbidendo, perché hanno scelto di non sottomettersi alla legge ingiusta e crudele di un ordine tirannico. Esse non solo hanno saputo guardare oltre, nel futuro, hanno inoltre realizzato una trascendenza che riscatta un significato psicologico politico e transgenerazionale.
Anche in “Risposta a Giobbe”, come in Antigone Jung offre a Giobbe un “tempo ulteriore” nel quale Giobbe può riscattare se stesso affrontando la crudeltà del Jahvéh. Anche in questo caso veniamo introdotti in un tempo qualitativo differente, si direbbe quel momento della crisi che offre anche un’opportunità di cambiamento, il tempo opportuno nel quale accade qualcosa di speciale, il Kairos? Giobbe però qui si rivolge direttamente al confronto con Dio.
In una prospettiva junghiana, in questo tempo si iscrive il rapporto dell’incontro tra l’io e il Sé. Come fa osservare Jung tale incontro richiede all’Io di riconoscere la sua condizione creaturale nei confronti del numinoso, il che comporta una rinuncia alla pretesa centralità della coscienza nel suo rapporto con la psiche e con il mondo, una riduzione dell’ego unilaterale e narcisistica. D’altra parte l’essere creatura, come in Giobbe, non dispensa l’uomo dal confrontarsi con l’azione e dall’attuare una scelta, addirittura dal divenire attivo nella relazione con dio stesso. In ogni caso l’uomo non potrà esimersi dal domandare. E così Giobbe, nella sua condizione umana dolorosa di uomo giusto che patisce l’ingiustizia di dio diventa interrogante, ponendosi alla pari con Dio, pretende da lui delle risposte. Questo suo assumere una posizione interrogante lo sottrae anche alla possibilità di inflazionarsi e dunque subire il numinoso. Giobbe interroga e interroga sinceramente, e solo così riceve delle risposte e conquista un rapporto per così dire “paritario” con Dio, conseguendo infine la intercessione della Sophia, la Saggezza, la compassione del divino femminile di dio.
Grazie.
(1)Facciamo un passo indietro a chiarire le premesse della storia. Avendo avuto compassione di suo fratello Polinice ucciso e condannato ad essere insepolto, nella versione di Sofocle la fanciulla Antigone, figlia di Edipo, è condannata dalla legge iniqua del tiranno di Tebe Creonte, a vivere in una grotta dove finirà suicida impiccandosi.
Ricordiamo anche che nel poema filosofico- teatrale “La Tomba di Antigone” a cui Benedetta Silj fa riferimento, Maria Zambrano riprende la scrittura di Antigone lì dove veniva abbandonata da Sofocle offrendole la possibilità di vivere un tempo ulteriore, un tempo per conoscersi e “riscattare la fatalità della tragedia” (p.187).
(2) Nell’Antigone di Maria Zambrano citata da Benedetta Silj leggiamo:
“Antigone la pietosa, nulla sapeva di sé” e dunque prima di morire doveva inoltrarsi in una lunga galleria di gemiti, divenire preda di innumerevoli deliri; la sua anima doveva rivelarsi e, ancora ribellarsi. Doveva risvegliarsi la sua vita non vissuta (…) Ogni fanciulla perfetta deve affrontare la discesa agli inferi; perché l’’inferno che sembra abitare il fondo dell’animo umano e oltre, il regno segreto dei morti, le reclama.”
(*)Da questo orizzonte il sogno della pace si traduce in un impegno di rifondazione del rapporto con il mondo, progettazione e attuazione di una Re-Visione dell’architettura dell’umano. In particolare di quella concezione che attraverso il tempo, fino alla nostra epoca, ha tramandato una separazione drastica tra pensiero, esperienza, pratica, azione e vita, deviando, distorcendosi verso un’astrazione sradicata dalle proprie radici.
Ebbene siamo dentro la critica del pensiero violento, delle sue manifestazioni e ripercussioni sulla vita e sul cammino evolutivo dell’uomo. Ne è conseguita la strutturazione di un certo modello di coscienza occidentale, perentoria e procedurale. Complessivamente poniamoci in un confronto ragionato ma critico, che va alla radice dell’unilateralità del pensiero astratto e dell’Ego, togliendo la maschera e il primato alla coscienza falsificatrice contemporanea e al processo in cui si forma e si alimenta. L’autrice ne svela e ne smantella i metodi e i meccanismi disumani e disumanizzanti.
(**)A questo proposito devo fare una breve digressione. Mi riferisco alla questione sollevata da Romano Madera durante la presentazione del suo libro, nel precedente incontro alla libreria Koob. Se come diceva Madera nella psicoanalisi non esiste una teoria dell’azione vogliamo però ricordare che nella psicologia analitica junghiana abbiamo una specie di teoria dell’azione proprio nella pratica dell’ l’immaginazione attiva, ne è testimonianza la pubblicazione del Libro Rosso.
Dunque osservo in una prima considerazione che l’autrice sta consegnando al futuro anche un modo di lavorare che confluisce nella pratica dell’immaginazione attiva, una sorta di metodologia, e anche in questa metodologia io intravedo una teoria dell’azione.